by Simone Splendiani
in Comunicazione e branding delle destinazioni turistiche. Una prospettiva manageriale, T.Pencarelli, G.L.Gregori (Eds), Franco Angeli, 2009.
OBIETTIVI DEL CAPITOLO
La pianificazione turistica territoriale è un’attività propria degli enti pubblici (o dei soggetti da essi incaricati) e rientra nell’ambito ben più ampio e più complesso dello sviluppo territoriale. Seppur tale attività presenti innumerevoli aspetti che la differenziano dalla pianificazione strategica delle imprese, è opinione diffusa – oltre che uno dei principali fondamenti della disciplina del Destination Management – che i concetti e gli strumenti propriamente aziendalistici possano trovarvi proficua applicazione, seppur attraverso un adeguato e profondo adattamento alle specificità dei sistemi territoriali turistici.
Parte fondamentale della pianificazione turistica pubblica è riservata alle
politiche di comunicazione, le cui finalità coincidono sostanzialmente con quelle della comunicazione d’impresa, ovvero “influenzare l’opinione ed il comportamento dei pubblici cui si rivolge agendo sulle dimensioni conoscitive, affettive o delle preferenze e comportamentali dei turisti” (Ostillo, 2000). Nonostante ciò, le azioni di comunicazione pubblica risultano essere molto più complesse della comunicazione d’azienda, poiché debbono essere capaci di conciliare le istanze turistiche con le altre possibili vocazioni attribuite al sistema territoriale dagli organi di governo, creando senso di appartenenza e di identità condivisa tra la popolazione residente. Ciò non impedisce ai soggetti decisori di
seguire l’approccio aziendalistico-manageriale del Destination Management e Destination Branding – che mutua i modelli del management, della comunica-zione e del branding delle aziende – seppure tale approccio necessiti di essere integrato con la gestione “politica” ed olistica del territorio.
Il concetto di comunicazione qui assunto deriva dagli studi di service
management e corrisponde a quello che Grönroos (2002) definisce comunicazione integrata al mercato. L’idea di fondo è che esistono varie fonti della comunicazione, alcune delle quali esterne all’organizzazione stessa e quindi non direttamente controllabili dal management. L’approccio da adottare è quindi quello olistico, in cui tutti le forme della comunicazione vengono gestite in un’ottica di lungo periodo.
Possono essere individuati, infatti, diversi livelli della comunicazione (Pencarelli, 2001):
• il primo di carattere “astratto”, che si basa sulle promesse fatte “dalla destinazione” in merito agli elementi intangibili, che andranno ad influenzare la dinamica delle aspettative. Questa dimensione è quella che Grönroos definisce comunicazione pianificata al mercato;
• il secondo attiene al processo interattivo, che fa riferimento alla fase della “fruizione della destinazione” e si esplica durante l’esperienza turistica complessiva;
• il terzo è relativo ai messaggi non pianificati, cioè non programmati, che
vengono lanciati ai pubblici attraverso diverse fonti (TV, stampa, internet,
passaparola, ecc). Che siano positivi o negativi, il loro impatto
può essere di gran lunga superiore rispetto a quello della comunicazione
pianificata.
Adottare l’approccio della comunicazione integrata al mercato significa,
dunque, governare tutte le dimensioni della comunicazione.
Nell’evidenza empirica dei piani turistici, come si vedrà in seguito, l’enfasi
è posta sulla prima dimensione che viene comunemente – ma impropriamente – intesa come promozione turistica. Si fa riferimento alla produzione di materiale informativo (cartaceo o digitale), alla partecipazione a fiere ed ogni altra forma di advertising della destinazione, ma, in molti casi, non sono del tutto chiari gli effetti sulla performance complessiva che tale attività produce. Il paradosso,
più volte enunciato dallo stesso Grönroos, è che i messaggi di comunicazione pianificati, possano risultare addirittura controproducenti poiché responsabili di innalzare oltremodo il livello delle aspettative e, quindi, di aumentare il rischio di una mancata conferma della qualità attesa e dell’immagine percepita nei “momenti della verità” (Normann, 1992). Se rispetto alla prima dimensione è possibile, generalmente, individuare un soggetto deputato alla promozione e quindi all’elaborazione e al lancio di messaggi pianificati al mercato, nella seconda è assai più complesso. Ciò rende la comunicazione “interattiva” più difficile da gestire, vedendo la partecipazione di una moltitudine di soggetti “non controllabili” che, attraverso le interazioni con il turista, influenzano la percezione dell’immagine. Discorso simile vale per i messaggi non pianificati, anche se, come vedremo, alcune regioni hanno implementato politiche che tendono ad influenzare positivamente la produzione e la diffusione di tali messaggi.
Altro elemento da tenere in considerazione, strettamente legato alla comunicazione integrata al mercato, è l’adozione di un approccio integrato ed olistico al marketing (Pencarelli, 2001). Per far fronte alle nuove, ma note, esigenze del mercato odierno, si ritiene necessario adottare un approccio che, partendo dal paradigma classico del marketing (attraverso l’utilizzo delle tecniche tradizionali del marketing management), sappia coniugare ad esso sia il marketing relazionale, deputato alla creazione di legami durevoli ed interattivi con la clientela e con la rete di stakeholders, sia il marketing interno, rivolto a costruire e mantenere una forte cultura del servizio fra le risorse umane coinvolte nel processo di produzione ed erogazione del prodotto turistico.
All’interno di questo framework si collocano le politiche di Destination
Branding, che assumono oggi particolare rilievo6. Il brand alimenta valore economico (brand equity), in quanto implica creare e diffondere valore per i vari stakeholder territoriali. I brand delle destinazioni e quelli dei prodotti turistici, devono quindi: “ricercare e mantenere costante dialettica tra gli aspetti materiali ed immateriali, funzionali e evocativi; manifestare attitudine ad esprimere costrutti culturali e realtà narrative dotate di senso; identificare un mediatore di linguaggi tra il mondo per molti versi rigido dell’offerta e quello vario e mutevole della domanda turistica” (Semprini, 2003).
Se il destination brand è stato definito da Ritchie et al. (1998) “[a] name,
symbol, logo, word or other graphic that both identifies and differentiates the destination”, l’attività di Destination Branding è stata definita da Cai (2002) “as selecting a consistent element mix to identify and distinguish it (destina-tion) through positive image building.[…]Consistent brand elements reinforce each other and serve to unify the entire process of image formation and building, which in turn contributes to the strength and uniqueness of brand identity”. L’approccio dell’Autore, qui condiviso, tende a distinguere l’attività di Destination Branding dal processo di formazione dell’immagine: “image formation plays only a partial role in branding a destination, and total practice should involve actively and methodologically building a consistent image by integrating a variety of marketing activities”. Tale impostazione appare coerente con la differenza, sottolineata da Grönroos, che intercorre tra identità del marchio (brand identity) e immagine del marchio (brand image): l’identità è ciò che “l’esperto di marketing vuole creare”, mentre l’immagine è ciò “che si forma nella mente del cliente”. Tale distinzione, di fatto, ha lo scopo di evidenziare che l’obiettivo che si pone chi progetta il brand non sempre equivale all’immagine che viene a formarsi nella mente del cliente e che è assai rischioso pensare che l’esperto di marketing possa creare un marchio da solo. In realtà, “se c’è qualcuno che può costruire un marchio, è il cliente”: “il ruolo dell’esperto di marketing consiste nel creare strutture per lo sviluppo del marchio nella mente dei clienti” e la comunicazione pianificata al mercato deve essere considerato
esclusivamente come un elemento di supporto (Grönroos, 2002). Ciò è
ancor più vero nel caso del turismo, dove la formazione dell’immagine della destinazione ha natura fortemente esperienziale e l’attività di Destination Branding deve condurre tale processo al fine di imprimere nella mente del turista un’immagine positiva della destinazione, anche al fine di influenzare il suo processo di scelta.
I nodi da sciogliere in merito alle politiche di Destination Branding paiono
essere innanzitutto quelli relativi alla continua dialettica che la comunicazione turistica pubblica deve saper mantenere tra le attività di branding collegate alla destinazione e quelle riferite ai prodotti che è in grado di offrire, alle risorse turistiche che possiede e ai network di offerta al suo interno9. Nel contempo, occorre stabilire il posizionamento desiderato del destination brand nel mercato per poi porre in essere azioni necessarie alla qualificazione ed allo sviluppo delle risorse ed all’emersione di sistemi di offerta, capaci di allestire prodotti
turistici in linea con le attese della domanda.
Quanto detto finora è stato declinato attraverso la formulazione di una serie di “questioni aperte” alle quali si cercherà di trovare riscontro nei piani turistici analizzati. Esse riguardano: le ragioni di fondo della comunicazione, ovvero la scelta strategica e di lungo periodo ad essa sottostante; i contenuti della comunicazione, ed in particolare “le promesse” riguardo ai benefici conseguenti la scelta della destinazione; la segmentazione strategica dei mercati, realizzabile in base a diverse variabili (area di provenienza, motivazione di viaggio, ecc.), utile per comprendere i target della comunicazione; il brand (inteso come concept) e le politiche di branding; il mix degli strumenti della comunicazione e commercializzazione; il controllo e la verifica dei risultati; • l’approccio alla comunicazione.
Il capitolo, dunque, tenta di delineare il ruolo che la comunicazione e il
branding ricoprono nella pianificazione turistica territoriale oltre che il ruolo che i piani strategici assumono nella comunicazione turistica di un territorio.
Il secondo paragrafo è dedicato ad una panoramica introduttiva sulla comunicazione turistica pubblica in Italia, attraverso cenni sul contesto legislativo e sull’attività svolta dall’Enit-Agenzia Nazionale per il Turismo.
Nel terzo paragrafo ci si addentra nell’attività svolta a livello regionale, attraverso l’analisi dei piani turistici di quattro regioni che si affacciano sull’Adriatico (Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Puglia).
Nel paragrafo conclusivo vengono sintetizzati i risultati dell’indagine e formulate alcune considerazioni in merito agli elementi di maggiore criticità emersi.